Delfo Zorzi / Roi Hagen: chi si nasconde dietro questi nomi?
DELFO ZORZI
Nato il 3 luglio 1947 ad Arzignano, in provincia di Vicenza, il ruolo rivestito da Delfo Zorzi in Ordine Nuovo è risultato essere propulsivo e di primo piano.
Dal 1966, in sintonia con le direttive del Convegno sulla guerra non ortodossa dell’Istituto Pollio e dopo il Convegno alla White Room di Mestre, presente Pino Rauti, viene riorganizzata la struttura di Ordine Nuovo del Triveneto. Zorzi era capocellula a Mestre, rispondeva direttamente a Carlo Maria Maggi che era il responsabile operativo per il Triveneto, l’ultimo anello prima della dirigenza romana di Pino Rauti, Giulio Maceratini (attualmente in Alleanza Nazionale) e Paolo Signorelli. A Mestre Ordine Nuovo disponeva di una sede, il Circolo culturale “Ezra Pound” in via Mestrina, e Zorzi insieme ad altri aveva aperto nel 1968 una palestra di arti marziali chiamata Rominkai. Entrambi i luoghi funzionavano da copertura e in essi transitavano anche le armi e gli esplosivi in “dotazione” al gruppo.
Dalla fine del 1968 Zorzi, all’età di 21 anni, si era trasferito a Napoli per frequentare il corso di laurea in Lingue Orientali. Durante i suoi rientri a Mestre dormiva in una stanza della sede di via Mestrina. La sua tesi di laurea trattava del Bushido, la via del guerriero, una particolare forma di Zen giapponese fatta propria dai movimenti di carattere fortemente spiritualista-nazionalista della tradizione della destra giapponese. E’ stata pubblicata di recente in Italia con lo pseudonimo di Dario Zanchi e distribuita dalla libreria “Ar” di Franco Freda. Fin da giovane pare coltivasse idee relative alla rigenerazione del mondo attraverso la creazione di una nuova razza, eurasiatica, nata dall’incrocio tra ariani e giapponesi.
Nel periodo universitario, nella palestra di arti marziali Fiamma della città, aveva conosciuto Annamaria Cozzo, una militante di estrema destra già interna al FUAN di Napoli. Con lei, oltre a stringere un legame sentimentale, aveva partecipato al campo di addestramento filosofico-ideologico di Tre Confini sugli Appennini Abruzzesi, organizzato dal professor Paolo Signorelli nell’agosto del 1969. Inoltre l’aveva portata con sé nei due attentati dimostrativi collegati alla visita del presidente Saragat in Jugoslavia avvenuti a Trieste alla scuola slovena e in un cippo di confine vicino a Gorizia il 4 ottobre 1969. E’ bene citare altre azioni del gruppo in cui si rintraccerebbe la partecipazione di Zorzi: Il 25 aprile 1967 a Tessera, irruzione contro la sede del P.C.I.: questa pare essere l’unica azione violenta ammessa da Delfo Zorzi in occasione delle sue spontanee dichiarazioni rese al PM Pradella di Milano a Parigi nel dicembre 1995.
Fra il 1967 e il 1969 si verificano una serie di azioni contro chiesette nell’entroterra mestrino e padovano. Infatti, secondo la visione ideologica di Zorzi, la tradizione giudaico/cristiana indeboliva gli spiriti ed era in radicale antitesi ai modelli dell’uomo pagano, del combattente legionario e del samurai, intrisi invece di etica guerriera.
Il 9 ottobre del 1968 ebbe luogo l’azione contro la sede del P.C.I di Campalto, vicino a Mestre. Oltre a danneggiare e incendiare il materiale, a rubare la bandiera del Partito, ci fu la sottrazione degli elenchi degli iscritti. Una risposta al lavoro di controinformazione che alcuni militanti comunisti stavano svolgendo sulle attività di Ordine Nuovo. Il 16 aprile 1969, giorno successivo all’attentato contro lo studio del Rettore Opocher, si verificò l’assalto al Municipio di Padova. Nel novembre 1969 ci fu una spedizione a Trieste, in supporto ai camerati di tale città che intendevano punire alcuni avversari politici che avevano osato "avventurarsi" nella zona centrale della città. Zorzi partecipò anche all’addestramento all’uso delle armi in un campo paramilitare allestito nel 1971 nella zona sopra Lecco, presenti quasi tutti i militanti o simpatizzanti de La Fenice, la cellula milanese.
Viene indicato come uno degli esecutori materiali della strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, 17 morti e 87 feriti. Imputato per banda armata nel processo per la strage del 31 maggio 1972 a Peteano dove morirono 3 carabinieri. Condannato in primo grado, sarà assolto in appello. E’ tuttora sotto processo per la strage del 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia 8 persone morte e 103 ferite. Il 16 novembre 1968 Delfo Zorzi, insieme a Giampietro Mariga vengono arrestati per la detenzione illegale di alcune armi e di una piccola quantità di esplosivo. Nell’interrogatorio del personale della Polizia, Zorzi aveva “ceduto” e fornito notizie su un deposito di armi presente nella provincia di Treviso (il casolare di Paese), accusando inoltre Mariga di aver partecipato all’assalto di Campalto. In sede processuale ritratterà facendo prosciogliere dall’accusa il suo coimputato, mentre sul casolare di Paese (che risultò poi essere il punto di convergenza dei gruppi di Mestre, Venezia e Padova, dove si tenevano armi e si confezionavano ordigni), allora non ci furono indagini di sorta.
Non sembra un’affermazione azzardata quella di Vincenzo Vinciguerra (appartenente alla cellula di Udine, condannato per la strage di Peteano del 1972) secondo cui proprio in questo frangente inizia l’avvicinamento di Zorzi da parte dei funzionari dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni che gli avrebbero proposto, ricevendo risposta positiva, di non continuare ad agire in proprio, rischiando arresti e denunce, ma di unirsi invece ad un apparato istituzionale, che poteva dare garanzie, nella comune lotta contro il pericolo comunista.
Delfo Zorzi, nelle sue multiformi attività, affiancava allo studio dei testi teorici di Julius Evola e dell’etica guerriera giapponese interessi più pratici quali soprattutto la progettazione di ogni possibile tipo di innesco per ordigni esplosivi. Zorzi e Paolo Molin, reduce quest’ultimo dalla partecipazione al Convegno del Parco dei Principi a Roma sulla guerra non ortodossa, si erano occupati di distribuire tra i militanti fidati, anche all’interno delle caserme, alcune decine di copie del libretto "Le mani rosse sulle Forze Armate", scritto da Rauti e Giannettini sotto falso nome e finanziato da un settore dell’Esercito nell’ottica di allertare e difendere le Forze Armate dal pericolo di infiltrazione comunista e di ispirare la formazione di uno "Stato Maggiore parallelo", formato da militari e civili. La diffusione del volumetto semiclandestino all’interno di Ordine Nuovo indica che la struttura di Delfo Zorzi non si riteneva un gruppo eversivo in senso proprio, ma componente attiva di un più vasto progetto comprendente, al di là dell’ideologia nazional/rivoluzionaria, l’alleanza con strutture istituzionali.
Ordine Nuovo fu sciolto nel novembre 1973 dal Ministero degli Interni per “ricostituzione del partito fascista” e la sua struttura occulta è stata giuridicamente qualificata come banda armata.
Nel 1974 Delfo Zorzi si è rifugiato a Tokyo in Giappone e nell’89 prenderà la cittadinanza nipponica. In passato grazie ai rapporti con il suo professore universitario Romano Vulpitta (nominato ambasciatore della CEE a Tokyo) aveva avuto modo di viaggiare ed essere fornito di un passaporto diplomatico. Questa circostanza era stata inoltre occasione per saldare legami con l’establishment giapponese, Appena arrivato in Giappone ha fatto base proprio presso l’abitazione di Vulpitta, nella quale nell’aprile del 1977 fu ricevuto anche Giorgio Almirante.
Dal suo rifugio per anni manderà corrispondenze al quotidiano della Democrazia Cristiana “Il Popolo” sotto lo pseudonimo di Alfredo Rossetti e, sempre per conto del vicesegretario della Democrazia Cristiana di allora Dario Antoniozzi, stabilisce relazioni ufficiali e regolari con il Nakayama, l’ala destra del partito liberal democratico giapponese.
Si farà chiamare Hagen Roi, il nome di un eroe della cultura indoariana che morirebbe piuttosto che rivelare i suoi segreti. Sposa una cittadina del luogo Shimoji Yoko con cui ha due figli, Sigfrida e Eginardo, due piccoli eurasiatici. Entrambi studiano in Inghilterra e pare che spesso vengano in Italia. Si sarebbe enormemente arricchito nel giro di pochi anni, anche grazie all’amicizia di un ex criminale di guerra chiamato Sasakawa, importando le grandi firme dell’alta moda e diventando plurimiliardario. Controlla una serie di società legate all’import-export, ai duty free e alla moda. In Italia si possono ricondurre a Delfo Zorzi cinque negozi a Milano, a Roma, a Mestre, a Conegliano e Pordenone, legati alla Gru.p. Italia.
E’ stato coinvolto in diverse inchieste internazionali per contraffazione, per importazione parallela di beni griffati, è sospettato di essere in rapporti con la malavita organizzata giapponese e coreana. Nel 1995 è stato inoltre condannato in Italia per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale e alla contraffazione. Sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale per la strage di Brescia. Non può essere estradato in Italia a meno che non vi sia una revoca della cittadinanza giapponese. E’ bene soffermarsi anche sulle anomalie che emergono nel processo di naturalizzazione avvenuto nell’89.
Il Giappone è un paese molto chiuso, molto geloso della propria identità, in cui raramente e solo con procedure molto lunghe, lo straniero, anche europeo, ottiene la cittadinanza. Nel caso di Zorzi la sua è stata acquisita con una pratica, una procedura, molto rapida di pochi mesi e senza grosse difficoltà, nonostante avesse avuto una condanna definitiva per detenzione di armi ed esplosivi. In sede di richiesta però aveva dichiarato di non avere precedenti penali, inoltre fino al ’97 ha mantenuto anche la cittadinanza italiana violando così una legge giapponese, che prevede la rinuncia alla cittadinanza di origine. Nonostante questo e nonostante il mandato di cattura internazionale per strage il Giappone non ha mai concesso l’estradizione.
Oggi Delfo Zorzi vive nell’elegante quartiere residenziale di Aoyama e si presenta come un ricco uomo d’affari, potente e rispettabile. Ha imbavagliato la stampa intentando cause per diffamazione, sia in Giappone che in Italia, contro la maggior parte dei quotidiani e dei settimanali, per bloccare ogni articolo su di lui fino alla fine dei processi. Alle accuse di strage risponde proclamandosi innocente. Ha definito Ordine Nuovo un circolo culturale e l’Espresso un “foglio di estrema sinistra, covo di cronisti vicino alle Brigate Rosse”.