ESTREMISMO NERO E MALAVITA COMUNE A MILANO TRA GLI ANNI NOVANTA E IL DUEMILA.
Saverio Ferrari – Redazione Osservatorio Democratico – 04/03/2008
CHE SI STAVA PREPARANDO?
Grande è stato lo stupore degli inquirenti: una Fiat Croma grigia, identica per colore e numero di targa, a quella utilizzata dal magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Milano, Gianni Griguolo, solitamente parcheggiata all’interno del Palazzo di Giustizia. Accanto alla Fiat Croma anche due moto, a loro volta simili a quelle in uso alla sua scorta. Il tutto scoperto nei primi giorni di aprile del 1995, in un box di Segrate, in via Battisti 32, a disposizione di un ex terrorista di destra: Mauro Addis. Una storia passata sotto silenzio.
IL BANDITO SARDO
Mauro Addis, all’epoca quarantenne, originario di Carbonia, già nel giro della banda di Renato Vallanzasca e amico di Pierluigi Concutelli, che a capo di un commando di Ordine nuovo il 10 luglio 1976 aveva assassinato a Roma il giudice Vittorio Occorsio, si era avvicinato in carcere ai Nar (Nuclei armati rivoluzionari) di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Addis in particolare era salito agli onori della cronaca per aver ucciso a Redecesio di Segrate, il 30 ottobre 1980, con più colpi di pistola Cosimo Todaro e la sua convivente, Maria Paxou, una giovane ballerina greca. Per questo episodio era stato condannato a 30 anni di carcere, ma già dal 1993 si trovava in regime di semilibertà: dormiva nel carcere di Opera e di giorno abitava con i genitori a Segrate.
Verso sera, poco prima delle 19 di quel 30 ottobre, Mauro Addis, seduto sul sedile posteriore della A 112 di proprietà della Paxou, con Cosimo Todaro al posto di guida, appena l’auto si era fermata in una zona periferica, aveva improvvisamente freddato entrambi sparando loro alla testa. Ad attenderlo per la fuga, Gilberto Cavallini, alla guida di un’altra vettura di grossa cilindrata che si era immediatamente accostata. Cosimo Todaro gestiva una pizzeria dove si praticava sistematicamente il gioco d’azzardo ed era in rapporto con i Nar per rapine e traffico di armi. La Paxou fu eliminata solo perché presente. Motivo: probabilmente uno sgarro, forse una lite dopo una rapina in banca.
Nel corso del duplice delitto Mauro Addis aveva perso una delle due pistole, un revolver Astra 357, sottratta a una guardia giurata, pochi giorni prima, nel corso di una rapina all’agenzia della Bnl di via Saccardo a Milano. Fu facilissimo risalire a lui. Per altro, lì a pochi passi, assistette alla scena un camionista intento a posteggiare il proprio mezzo, che dette una descrizione sufficientemente accurata del killer.
LA BANDA DI GIUSEPPE LEONE
Le indagini che avevano portato al box di Segrate erano partite da una fonte confidenziale che aveva segnalato come carica di armi una Citroen Dyane furgonata, regolarmente posteggiata in un’area adibita a libero parcheggio a Cologno Monzese. Il furgoncino, intestato a un anziano signore incensurato, era in realtà sempre stato utilizzato da Giuseppe Leone, colpito a morte il 16 giugno 1993 nel corso di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine nel centro di Padova, durante un tentativo di rapina a un’agenzia della Banca Popolare Veneta. Giuseppe Leone era stato raggiunto da una raffica di mitraglietta, dopo il lancio di una bomba a mano, scagliata nell’intento di aprirsi una via di fuga.
L’ordigno aveva ferito a un occhio un agente di polizia. Si scoprì che la banda, composta da almeno cinque elementi, tutti residenti a Milano, aveva in dotazione un intero arsenale e si era già resa protagonista di una serie di rapine tra il Veneto e la Lombardia. All’Ambroveneto di Fino Mornasco, in provincia di Como, il colpo aveva fruttato un bottino di due miliardi di lire tra contanti e preziosi. Nella circostanza erano state aperte tutte le cassette di sicurezza dell’istituto di credito, compresa quella che conteneva i gioielli della famiglia di Stefano Casiraghi, il defunto marito di Carolina di Monaco.
Giuseppe Leone, 52 anni, originario di Napoli, ne era il capo.
PER CONTO DI CHI?
L’attenzione a questo punto venne concentrata su uno stabile attiguo al parcheggio di Cologno Monzese, dove risultava abitare Vittorio Poletti, coniugato a Teresa Magnetta, sorella del più famoso Domenico, trentasettenne di origini foggiane, trapiantato a Milano. Domenico Magnetta, detto “Mimmo”, era sempre stato una figura di secondo piano nella storia dell’eversione nera. Più volte condannato per rapina, aveva ricoperto incarichi “operativi” in Avanguardia nazionale, divenendone a Milano il “responsabile militare”, come accertato dalle indagini relative al gruppo terroristico.
Il 4 aprile, nel corso di servizi di appostamento, dopo aver notato Magnetta aggirarsi attorno alla vettura per controllare l’integrità delle portiere, si decise di procedere a una perquisizione. In un doppio fondo ricavato sotto il pianale posteriore si scoprirono: un fucile semiautomatico a pompa calibro 12, un fucile calibro 12 a canne mozze, una carabina cal. 22, un mitragliatore Kalashnikov, due pistole, quattro silenziatori, circa cinquemila munizioni di diversi tipi, micce a lunga combustione, detonatori, due baionette e due coltelli a scatto, due targhe automobilistiche intestate all’Esercito italiano e diversi accessori di divise da carabiniere.
Si giunse, infine, al box di Addis, ancora una volta grazie a una fonte confidenziale. Nella sua abitazione si rinvennero anche le chiavi per aprire il furgoncino Citroen. D’altro canto i rapporti fra Magnetta e Addis risalivano a diversi anni prima. Alla soluzione del mistero della Fiat Croma clonata non si giunse comunque mai. Che si stava preparando? Forse un attentato a Gianni Griguolo magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Milano? Per conto di chi? Gli imputati si chiusero nel più assoluto silenzio.
Domenico Magnetta, cui non furono mai trovate le chiavi del furgoncino Citroen, fu processato con rito abbreviato nell’aprile 1997 e condannato definitivamente dalla Corte di appello di Milano, il 2 giugno 1999, a tre anni e dieci mesi per detenzione abusiva di armi, sostanze esplodenti e ricettazione. Nel gennaio 2001 fu ammesso alla detenzione domiciliare. Nel 2005 era di nuovo in circolazione come uomo di fiducia di Lino Guaglianone, ex tesoriere dei Nar, candidato nella lista di Alleanza nazionale in Lombardia per le elezioni regionali del 2005, poi in Alternativa sociale.
Mauro Addis fu invece condannato il 10 aprile 2002 a sette anni di reclusione. Il processo si aprì solo nel 2000. Un processo tormentato: durò ben due anni, anche per il parziale mutamento del collegio giudicante. La sentenza divenne definitiva il 29 aprile 2005. Ancor oggi è nel carcere speciale di Voghera, sezione Eiv (Elevato indice di vigilanza). Tornerà libero nel 2009.
LEGAMI PERICOLOSI
Quando i Nar di Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini scorrazzavano ancora nel milanese, il 13 novembre 1980 tentarono anche di far evadere dal carcere Giuseppe Di Girolamo, detto “Pino”, un componente della banda Vallanzasca condannato a 29 anni per omicidio a scopo di rapina.
Stefano Soderini, anch’egli del gruppo, dichiarò ai magistrati: “Era idea dell’Addis e del Fioravanti che, mentre Pino assumeva il controllo della città di Milano, noi gli dovevamo coprire le spalle allorquando se ne fosse presentata la necessità. Il che, in termini di guadagno, significava introiti per centinaia di milioni”. Un legame, quello tra il neofascismo e la malavita comune, che viene da lontano e che sembrerebbe non essersi mai spezzato.