La strategia della tensione

Con questa locuzione coniata dal settimanale inglese "The Observer" si intende una precisa strategia ispirata, se non direttamente ordinata, dal governo americano ai governi e referenti politici degli stati "alleati". Questi tramite apparati e strutture più o meno occulte che a loro volta utilizzavano organizzazioni "eversive" di estrema destra mettevano in pratica tale strategia, volta ad aumentare le tensioni ed il caos sociale per contrastare tramite mezzi ben poco democratici l'avanzata delle sinistre nella società e nella rappresentanza politica.

 

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE

Per comprendere davvero le stragi di cui viene trattato in questo breve opuscolo, e anche le altre stragi o tentate stragi avvenute nel nostro paese tra il 1969 e i primi anni ’80, è necessario addentrarsi nel contesto in cui esse furono concepite ed eseguite. Gli attentati stragisti rientrano infatti in una precisa strategia, conosciuta oggi come “strategia della tensione”. Con questo termine si intende una determinata e cosciente volontà da parte di apparati dello stato, in particolare dei servizi segreti e delle forze armate, di creare una destabilizzazione nel nostro paese, che impedisse alle forze di sinistra, in particolare al PCI che in quegli anni stava conoscendo una forte crescita, di giungere al governo del paese. Scrive a tal proposito il giornalista di destra Enrico De Boccard nel suo intervento ad un convegno del 1965 organizzato dall’istituto Pollio (tra i relatori alti ufficiali delle Forze Armate e riconosciuto da molti come l’inizio della strategia della tensione): “ Qualsiasi violazione compiuta dai comunisti […] come per esempio inserirsi in una nuova maggioranza o peggio ancora penetrare […] in un gabinetto ministeriale costituirebbe un atto di aggressione talmente grave […] da rendere necessaria l’attuazione […] di un piano di difesa totale. Vale a dire l’intervento diretto, deciso e decisivo delle Forze Armate.”

Fin dall’immediato dopoguerra il governo americano costituì organizzazioni paramilitari o interne alle forze armate occulte nell’ambito della “Stay Behind”, cioè finalizzate a combattere da dietro le linee nemiche in caso di invasione da parte del Patto di Varsavia. Ben presto la maggior parte di queste organizzazioni segrete confluirono in Gladio, che divenne la principale struttura della “Stay Behind”. Verso la fine degli anni ‘50 tuttavia l’ipotesi di una invasione da parte del patto di Varsavia diventava sempre più labile, e nel documento Gladio/41 del 3/12/58 si afferma che i compiti di Gladio erano: “in tempo di pace: controllo e neutralizzazione delle attività comuniste; in caso di conflitto che minacci la frontiera o di insurrezione interna: antiguerriglia, antisabotaggio nei confronti di quinte colonne comuniste agenti a favore delle forze militari attaccanti o delle forze inssurrezionali; in caso di invasione del territorio: lotta partigiana e servizio informazioni”. L’attività di Gladio quindi andava ben oltre le operazioni da dietro le linee in caso di invasione nemica. Questa attività anticomunista interna portò tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 all’adozione di una strategia volta ad ostacolare con ogni mezzo l’avanzata dei partiti e delle organizzazioni comuniste, che, come accadde in Grecia nel 1967, prevedeva come ultimo passo l’intervento dell’esercito con l’instaurazione di una dittatura militare. Anche in Italia questo era verosimilmente l’obiettivo fino alla prima metà degli anni ’70, e i diversi tentativi di golpe, dal piano Solo, a quello del Generale De Lorenzo o di Borghese, ne sono le evidenti prove.

Nel frattempo tra il finire degli anni ’50 e i primi anni ’60 erano sorte diverse organizzazioni neo-fasciste, tra le quali ricordiamo Ordine Nuovo guidato da Pino Rauti e Avanguardia Nazionale guidata da Stefano Delle Chiaie. A fare da ombrello istituzionale a tutte le diverse realtà dell’ambiente neofascista era il Movimento Sociale di Almirante, che fin dagli anni ’50 aveva fatto dell’anticomunismo il motore principale della propria azione politica. In particolare nel gruppo di Ordine Nuovo, fin dalla sua comparsa come centro studi interno al MSI, uno dei fondatori, Clemente Graziani, scrive nel Quaderno n. 1: “Per la conquista totale della masse la dottrina della guerra rivoluzionaria prevede […] il ricorso a forme di terrorismo spietato ed indiscriminato. […] Abbiamo accennato al terrorismo indiscriminato e questo concetto implica, ovviamente, la possibilità di uccidere, o far uccidere, vecchi, donne e bambini. […] Queste forme di intimidazione terroristica sono, oggi, non solo ritenute valide, ma, a volte, assolutamente necessarie per il conseguimento di un determinato obiettivo”. Appare ovvio come questi gruppi di estrema destra fossero gli ideali esecutori dei compiti di destabilizzazione tramite attività terroristica che la strategia della tensione prevedeva. Ormai numerose sono le prove che i servizi segreti italiani, dal Sismi al Sid (oggi Sisde) utilizzarono elementi di estrema destra come esecutori delle stragi, il cui obiettivo finale era provocare una tale destabilizzazione sociale e psicologica nel paese tale da giustificare l’intervento delle forze armate.

Un'ulteriore prova del fatto che l’attività dei gruppi di estrema destra rientrasse in una precisa e comune strategia creata e indirizzata da elementi sopranazionali si evidenzia nel confronto dello scritto di Graziani con un documento ritrovato nel 1974 a Lisbona successivamente alla rivoluzione dei Garofani, nella sede della Aginter-Press, una falsa agenzia stampa che in realtà era una agenzia di intelligence controllata dalla CIA e che teneva i rapporti con le diverse formazioni di estrema destra europee. Tale manuale, intitolato “La nostra azione politica”, recita: “Noi pensiamo che la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire l’installazione del caos in tutte le strutture del regime”. La logica conclusione è che tutta la strategia della tensione fosse una diretta emanazione della Cia e quindi del governo americano ed applicata, con forme diverse e diversi “successi” nei paesi in cui vi si riscontrasse un avanzamento delle forze di sinistra. È altrettanto ovvio che in Italia i referenti della Cia e quindi i depositari di tale strategia fossero i servizi segreti, che trovarono ottimi esecutori nelle formazioni neofasciste. Ciò che va sottolineato è come Ordine Nuovo e gli altri gruppi di estrema destra fossero non semplicemente manovrati dai servizi segreti e altri apparati dello Stato tramite infiltrati, ma effettivamente interni e, almeno tra le figure dirigenziali, apertamente consapevoli di agire per conto di questi apparati statali.

In tal proposito sono da ricordare i forti legami tra Ordine Nuovo e i militari, soprattutto alti ufficiali, come sostiene chiaramente il PM Alessandrini  nella requisitoria contro il militante di O.N. Giannettini nel processo per la strage di Piazza Fontana: “[…] Il generale Aloja […] si era circondato da un gruppo di giornalisti […] coi quali intratteneva buoni rapporti. […] Probabilmente Giannettini era di questo gruppo.” Sempre Alessandrini mette in evidenza come tra questo gruppo di giornalisti vi fosse anche Pino Rauti e che quest’ultimo assieme a Giannettini fosse l’autore del libretto “Le mani rosse sulle Forze Armate”, pamphlet in cui si difendeva Aloja e i corsi di “ardimento” da lui voluti. A proposito di questi corsi, l’agenzia “D”, diretta dagli stessi Rauti e Giannettini, scrisse nel 1965: “I corsi di ardimento tendono a creare un particolare clima psichico ed etico […] tra i frequentatori dei corsi. […] Si tratta di un clima determinato proprio da quella preparazione psicologica che è assolutamente necessaria ai combattenti della guerra moderna. Lo stato maggiore ha così formato migliaia di uomini particolarmente addestrati contro la guerra sovversiva onde fronteggiare esigenze particolari”.

Questi legami tra organizzazioni di estrema destra ed elementi dell’esercito non si riducono alla semplice amicizia personale tra neofascisti ed alti ufficiali, ma i corsi paramilitari organizzati da Ordine Nuovo e da altre formazioni neofasciste fin dagli anni ’60 usufruirono di materiale e personale addestratore militari, concessi dallo Stato Maggiore dell’Esercito, come afferma il dispaccio di numero di protocollo  733/182, 1701 dell’11/08/1970, che autorizza i campi di parasoccorso del golpista Saccucci o il campo organizzato a Bardonecchia dal Fronte Nazionale, sul quale si legge in una informativa del Sid: “Ad esso [il campo] hanno partecipato circa 40 elementi destinati a funzioni di capogruppo. Sono stati effettuati tiri con pistole, mitra e fucili mitragliatori. Il gruppo torinese forte di 510 uomini, dispone di un completo armamento individuale, che ciascuno dei componenti provvede a occultare. Qualora il Pci dovesse inserirsi nell’area di governo e si profilasse quindi un caso di necessità, l’armamento del gruppo dovrebbe essere integrato, facendo ricorso alle caserme locali”.

È di inquietante evidenza come il Sid inserisca l’attività neofascista del Fronte Nazionale in un contesto para-istituzionale (nonostante la chiara illegalità) e ne preveda l’attività nel momento dell’arrivo al governo del Partito Comunista, ricorrendo anche ad armamenti dell’esercito italiano. È altrettanto evidente, come sostiene nella propria analisi Giuseppe De Lutiis, che “ si era creata una circolarità tra il settore delle forze armate che gravitava attorno al generale Aloja e ambienti neofascisti nel comune progetto di introdurre i postulati della guerra non ortodossa nelle forze armate. E visto l’alto grado militare e il prestigio raggiunti dal generale Aloja, si può affermare che una parte rappresentativa delle forze armate era partecipe al progetto”. Tutto ciò del resto veniva già pubblicamente dibattuto nel 1971, anno in cui si tenne nell’Istituto di studi militari Nicola Morselli un seminario intitolato “Guerra non ortodossa e difesa”, cui parteciparono numerosi alti ufficiali, tra i quali anche l’allora comandante generale dell’arma dei carabinieri.

Nella relazione finale di tale congresso viene scritto: “[…] la Difesa deve adeguarsi al tipo di offesa moderna. […] L’attacco è soprattutto di tipo rivoluzionario […] la Difesa quindi deve occuparsi di più della situazione interna: là dove una volta bastavano le forze di polizia. […] Alcuni autorevoli personaggi della maggioranza mettono in dubbio che esistano ancora in mano al governo strumenti democratici capaci di impedire che l’Italia vada a finire in mano comunista. […] La difficoltà maggiore sta nell’indicare al soldato il nemico, il nemico reale, il comunismo – con i suoi metodi e procedimenti – quando il partito comunista gode del privilegio della legalità. Una difficoltà che non esiste là dove il partito comunista è fuori legge.” Riportiamo infine una illuminante deposizione del neofascista Vincenzo Vinciguerra: “Il mio ingresso in Avanguardia Nazionale fu preparato dal progressivo distacco politico determinato dall’acquisizione di elementi sui rapporti tra i dirigenti di Ordine Nuovo e funzionari del Ministero degli Interni e comunque con persone inserite a vario titolo e vario livello in apparati dello Stato. L’episodio iniziale che illuminerà questa realtà fu la proposta avanzatami nel settembre 1971 da Carlo Maggi e Delfo Zorzi di eliminare il ministro Rumor, […] senza avere problemi di sorta con la scorta di polizia […] cosa questa che mi dimostrava gli agganci con funzionari ad altissimo livello in grado di predisporre una situazione per cui la scorta potesse non intervenire. Si formò così in me la convinzione, avvalorata da successivi riscontri (ad esempio l’ammissione di Zorzi di essere legato da intima amicizia con un altissimo funzionario del Ministero degli Interni; la confidenza fattami da Rognoni e Zaffoni in Spagna circa marce notturne con tute mimetiche dell’arma dei carabinieri nella zona di Varese) dell’esistenza sotto la facciata di Ordine Nuovo di una struttura occulta all’interno della quale operavano personaggi come Maggi, Zorzi, Digilio, Signorelli e in posizione di vertice lo stesso Rauti, struttura a sua volta inserita in un apparato composto da civili e militari, arruolati sulla base delle loro convinzioni anticomuniste e delle loro adesioni all’idea di un rafforzamento della Nato. […] La chiarezza che avevo acquisito su Ordine Nuovo mi dimostrò che non si trattava più di un gruppo politico di opposizione allo Stato, ma di supporto a centri di potere dello Stato stesso.”

Peccato per il camerata Vinciguerra che la stessa Avanguardia Nazionale, capitanata da Stefano Delle Chiaie, affiancasse ad una struttura pubblica di gruppo politico di estrema destra in stretta concorrenza con il Msi, una struttura occulta di cui fanno parte sia personaggi notoriamente appartenenti all’estrema destra ma ufficialmente non militanti, sia persone sconosciute agli archivi politici, e che questa godesse necessariamente protezioni da parte di apparati dello Stato. Lo stesso Guido Paglia, per qualche tempo presidente di Avanguardia Nazionale, sostiene che “a questa struttura secondaria appartengono i commandos terroristici”, e il servizio, che acquisisce questa informazione, non agisce in alcun modo per accertarne la veridicità, anzi, all’indomani del tentativo di golpe di Borghese i dirigenti di Avanguardia Nazionale, tra cui Delle Chiaie stesso, non vengono, al contrario di altri neofascisti, denunciati, benché fosse evidente la partecipazione al tentativo della struttura occulta in seno ad Avanguardia Nazionale. Il capitano Labruna dei carabinieri sostiene apertamente, nel corso di differenti processi, che “Delle Chiaie […] era un agente dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno. Non sono il solo a dirlo. Lo afferma anche il Paglia nella sua relazione, il Giannettini in una relazione […]”.

Analogamente il gruppo neofascista Mar (Movimento Azione Rivoluzionaria), che per bocca del proprio numero due, Gaetano Orlando, “si è mosso in un contesto ben preciso e con compiti ben precisi. […] Sin dal 1964 in Valtellina c’erano caserme dei carabinieri che disponevano di armi da consegnare a civili in funzione anticomunista. […] Aggiungo che le consegne di armi fatteci da alcuni ufficiali dei carabinieri di Padova le consideravo una dimostrazione di fiducia e di simpatia da parte dell’Arma […] Ribadisco quanto ho già detto in merito all’organizzazione parallela anticomunista a cui ho appartenuto. […] aveva una funzione interna anticomunista. […] L’organizzazione anticomunista di cui ho parlato si avvaleva di gruppi e militanti della destra […] cui venivano date armi e fiducia. […] Comunque il Mar aveva rapporti con ambienti istituzionali. Avevamo rapporti con il Sid e […] con la Pastrengo [I divisione carabinieri di Milano]”. Simile discorso per Ordine Nero, fondato nel 1974 da Esposti a Milano, nel quale confluirono elementi da tutte le diverse organizzazioni neofasciste precedenti, da Ordine Nuovo al Mar, da Avanguardia Nazionale alle Sam. Ordine Nero rivendica diversi attentati nel 1974, tra cui anche quelli del 23 Aprile e del 10 Maggio, effettuati tramite lo schema delle “triplette” cioè tre differenti attentati in tre diverse regioni, il che implica necessariamente una vasta ramificazione territoriale ed un alto livello organizzativo.

In realtà tutte le organizzazioni neofasciste di quegli anni operarono in questo modo, cioè internamente o quantomeno in stretta collaborazione con differenti apparati statali, dai servizi segreti (Sid e Sismi), alle forze armate o di polizia, al Ministero degli Interni, e in alcuni casi direttamente alle dipendenze degli americani. Inoltre spesso differenti sigle riconducevano in realtà ad un'unica organizzazione, è il caso ad esempio di Ordine Nero, che utilizzava anche le sigle Sam o Fnr. Ciò che, come si evince da quanto sopra riportato, è importante sottolineare è che tutte le diverse forze neofasciste sviluppatesi tra gli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 svolsero un ruolo di esecutori di una strategia emanata direttamente da apparati istituzionali con il fine ultimo di giungere ad un golpe militare o comunque di un intervento diretto delle forze armate in funzione anticomunista. Per tutto questo periodo e fino ai primi anni ’80 i servizi segreti hanno agito per coprire gli stragisti neofascisti, aiutarli nelle loro fughe all’estero, depistare le indagini sugli attentati fascisti e inquinare le prove, fino ad arrivare in alcuni casi a partecipare a tentativi golpisti. Giuseppe De Lutiis scrive a tal proposito che “in tutti gli episodi venuti alla luce il direttore del servizio era a vario titolo coinvolto. […] Da queste considerazioni, anche alla luce di precise ammissioni di imputati e testimoni, […] si può trarre una sola conclusione: quelle deviazioni non furono una iniziativa personale degli uomini del servizio, ma l’attuazione di ordini provenienti da catene di comando anomale, ma altrettanto inderogabili di quelle ufficiali. In questi anni ha agito insomma un organismo complesso, che inglobava al suo interno i neofascisti come esecutori materiali, ma non si esauriva con essi; che aveva certamente collegamenti nei servizi, ma anche in alcuni corpi di polizia e nella magistratura.” Similmente scrive in proposito il giudice Guido Salvini: “[…] la presenza di settori degli apparati dello Stato nello sviluppo del terrorismo di destra non può essere considerata deviazione, ma normale esercizio, per un lungo periodo, di una funziona istituzionale.  […] è quindi più corretto affermare […] che in Italia […] abbia operato un complesso di organismi e di gruppi con legami nei servizi segreti, nelle forze di polizia e in altri settori della pubblica amministrazione, che intendeva attuare il proprio progetto politico sottostante alle stragi, tutelandone gli esecutori anche molti anni dopo gli eventi”.

A ciò si deve aggiungere l’immensa rete delle logge massoniche, in particolare della loggia P2 di Licio Gelli, che vedeva tra gli affiliati sia esponenti della destra eversiva sia alti ufficiali, esponenti politici e diversi uomini degli apparati statali. La rete di relazioni costituitasi tra apparati dello stato, massoneria e stragisti neofascisti non si esaurì nella prima metà degli anni ’70, tuttavia successivamente al cambiamento delle direttive politiche emanate dagli Usa (con il conseguente crollo dei regimi portoghese e greco), ma anche in seguito ad una forte e decisa mobilitazione popolare, si assiste ad un passaggio da finalità golpistiche e militari ad un orientarsi verso un autoritarismo da raggiungere tramite vie più istituzionali e democratiche, con il solito obiettivo di impedire ai comunisti di andare al governo in Italia e di eliminare ogni velleità dei gruppi rivoluzionari (come si evince chiaramente dal Piano di Rinascita Democratica della P2, datato 1976).

È dunque ragionevole oggi sostenere che la retorica dei “misteri d’Italia” sia evidentemente una falsità, in quanto si è in possesso di ogni elemento necessario non solo a costruire la verità storica di quel pezzo di storia del nostro paese che coincide con le bombe neofasciste, ma vi sono anche chiare, seppur tardive e spesso impersonali, sentenze della magistratura in merito; lo stesso Giovanni Pellegrino, presidente della commissione bicamerale sulle stragi e il terrorismo, scrive che “le vicende della strategia della tensione possono anch’esse dirsi ormai oggetto di una conoscenza approfondita, che consente di coglierne le dinamiche interne e di distinguerne le fasi successive”. In realtà ancora oggi permangono i depistaggi e le coperture a favore di molti stragisti e militanti dell’estrema destra di quegli anni, a cui ultimamente si è unito una sorta di revisionismo, portato avanti in particolare da Alleanza Nazionale e in genere dai movimenti politici di destra più o meno estrema, volto a cancellare nell’opinione pubblica la matrice fascista delle stragi degli anni ’70.

Molto ancora potrebbe essere scritto e analizzato riguardo a tutto ciò che si è qui solo parzialmente accennato, a chi scrive appare in ogni caso chiaro come si sia dimostrato senza dubbio che i movimenti di estrema destra furono non soltanto un covo di confidenti della questura e infiltrati, ma vere e proprie branche di apparati dello stato, che ne diressero l’azione politica e più in particolare l’azione stragista e bombarola, con un preciso disegno politico volto ad impedire l’avanzata sia nella politica istituzionale che nella società civile della sinistra comunista.

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