PRESIDIO SABATO 30 GIUGNO A MELZO ALLE ORE 16 FUORI I FASCISTI DAI NOSTRI QUARTIERI

La notte di sabato 9 giugno, durante un festival musicale organizzato 
dal Centro per il Protagonismo Giovanile di Melzo, Davide, ventenne 
volontario del Servizio Civile, è stato ripetutamente accoltellato.
Non si è trattato di una rissa né del gesto di un folle, ma di un atto 
di violenza ostinatamente ricercato da parte di una dozzina di 
naziskins, attraverso provocazioni protratte per tutta la serata, 
l'estrema e coerente conseguenza di un pensiero che si richiama 
espressamente allo squadrismo nazifascista.
Tantomeno si tratta di un fatto isolato, ma solo dell'ultimo atto di un
elenco impressionante di azioni di estrema destra rivolte non solo 
contro persone e spazi riconducibili alla sinistra ed all'antifascismo,
 ma contro chiunque sia percepito come portatore di una diversità.
Spesso le aggressioni sono messe in atto da giovani che, disorientati 
dalla scomparsa di riferimenti positivi, sono attratti da modelli 
autoritari che esaltano l'uso della violenza e sono facilmente 
manovrabili da esponenti della destra eversiva sempre a caccia di 
reclute da impiegare come macellai e carne da prigione.
Ma è la società tutta che ci pare subire il fascino regressivo del 
fascismo, l'attrazione per l'involuzione autoritaria, securitaria e 
identitaria, il richiamo di un ritorno ad un ordine presupposto.
È nell'ampia zona grigia delle complicità, delle connivenze, delle 
titubanze, delle indifferenze, delle sottovalutazioni, delle prudenze 
che i fascismi di ieri e di oggi sono nati e si sono sviluppati, sino
ad arrivare ad avere coperture e legittimità politiche.
  
 
  Per contrastare questa realtà riteniamo che sia indispensabile 
incentivare luoghi e spazi che creino cultura, producano
partecipazione, incoraggino consapevolezza.
 
   
  Chiediamo che le istituzioni condannino nettamente i gruppi che si rifanno al
nazifascismo, che non concedano loro spazi d'azione (piazze, sedi..) e che
promuovano fra i giovani occasioni di riflessione e confronto sui temi
dell'antifascismo, valore cardine della Costituzione.
 
   
  Ci appelliamo a tutti i cittadini affinché prendano coscienza del 
pericolo rappresentato da comportamenti violenti, intolleranti e 
xenofobi come quello subito da Davide e manifestino indignazione e rifiuto in ogni
ambito della vita civile.
 
   
  A questo proposito invitiamo tutt* a pertecipare al presidio che si terrà a Melzo
in piazza della Repubblica sabato 30 giugno alle ore 16.00
   
  per adesioni andare sul sito www.inventati.org/marteinsana 
   
  CSA Baraonda Segrate, CAS inzago, CC Area Carugate, Casa in Movimento Cologno
Monzese, Arci Malabrocca, Giovani Comunisti Brianza, Giovani Comunisti Milano e
Provincia, SH.A.R.P. Brianza, Associazione Rosebud, Osservatorio Martesana, Forum
Martesana, Punto Rosso Bussero, Associazione Cachoera de Pedras, Arci Blob Arcore,
CUB milanoest, ANPI Cernusco s/n, PRC: Inzago, Vimodrone, Bussero, Segrate,
Cernusco s/n, Melzo, Pozzuolo Martesana, Carugate, Vignate, Pessano con Bornago,
Cassano d'Adda. 

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16.07.07 – processo d’appello per il San Paolo

 

16 Marzo 2003, veniva assassinato Dax, Davide Cesare, colpito con diverse
coltellate in Via Brioschi a Milano; insieme a lui venivano feriti dagli
stessi aggressori neofascisti altri due compagni, uno dei quali rimase in
pericolo di vita per quasi una settimana.
Un nutrito gruppo di amici e compagni di Dax e degli altri feriti, si
recarono immediatamente all'Ospedale San Paolo, dove erano stati
trasportati.

Quello che accade al loro arrivo al San Paolo è di una gravità che lascia
increduli gli stessi giudici del processo di primo grado che testualmente
scrivono nella sentenza: ”…..producevano una reazione da una parte
inefficace, dall'altra eccessivamente dura da parte delle forze
dell'Ordine, culminata nell'inseguimento all'interno del pronto soccorso di
alcuni ragazzi che ivi si erano rifugiati e in indiscriminati comportamenti
violenti (manganellate, calci e via esemplificando) non giustificati né da
un'attuale opposizione dei singoli, né dalla necessità di compiere un
atto di ufficio, MA DI NATURA PURAMENTE INTIMIDATORIA E RITORSIVA.”
La scena che si presenta a chi riesce ad
entrare nel pronto soccorso quella notte
è agghiacciante e ricorda le immagini
del massacro avvenuto alla Scuola Diaz
a Genova nel 2001; sangue per terra
e sui muri, decine di ragazz* ferit*,
altri ricoverati in ospedale.
Immediatamente l’allora questore di Milano Boncoraglio legittimava
l’intervento dei suoi uomini dato che, secondo la delirante versione
ufficiale, i ragazzi presenti in ospedale volevano portare via la salma.

Nei giorni seguenti veniva reso pubblico un filmato, dove si vedono un
poliziotto ed un carabiniere, che picchiano selvaggiamente un ragazzo a
terra inerme. Più di un testimone appartenente al personale medico
presente in ospedale, riferisce non solo di pestaggi avvenuti
indiscriminatamente ed immotivatamente, ma anche di appartenenti alle forze
dell'ordine in possesso di armi speciali come mazze da baseball.

Le indagini portano al rinvio a giudizio di 4 ragazzi e di tre appartenenti
alle forze dell'Ordine. I primi sono imputati di resistenza a pubblico
ufficiale, un poliziotto ed un carabiniere vengono citati in giudizio per
lesioni ed abuso di ufficio (episodio del pestaggio ripreso dalle
telecamere di cittadini), mentre ad un terzo carabiniere viene attribuito
il possesso ingiustificato di una mazza da Baseball.
Oltre ad appartenenti alle forze dell'ordine ed ad uno dei ragazzi
picchiati, si costituiscono parte civile anche il Ministero degli Interni e
della difesa, ma non contro i propri appartenenti, bensì contro gli
imputati.

Le arringhe dei difensori vengono svolte, ironia della sorte, proprio il 16
Marzo 2006, nel terzo anniversario della morte di Dax.
La sentenza che viene letta il 29 Marzo 2006 si conclude con due
assoluzione per due dei compagni imputati e con due condanne ad anni 1 e
mesi 8 di reclusione, oltre risarcimenti dei danni per oltre 70.000 Euro.
Degli appartenenti alle forze dell'ordine due sono assolti ed un terzo
condannato alla pena di mesi 7 di reclusione.
Il pubblico ministero, non soddisfatto dell’esito del processo, proponeva
ricorso contro le sentenze di assoluzione degli imputati, l’udienza si
celebrerà l’8 maggio 2007 davanti la Corte d’ appello di Milano.
La probabilità di un nuovo processo farsa è elevata, i fatti del San
Paolo sono solo un altro tassello che disegna la deriva autoritaria e
violenta nelle forze dell’ordine.
A Milano, in tempi di “cortei per la sicurezza”, dove il securitarismo
unisce le forze politiche di entrambi gli schieramenti, verso un incremento
dell’azione repressiva, della militarizzazione dei territori e
dell’autoritarismo poliziesco.

Invitiamo tutti a partecipare il 16 luglio all’udienza, portare
solidarietà ai compagni inquisiti e rivendicare verità sui sanguinosi
fatti di quella notte.

Per non dimenticare

Con Dax nel cuore

Antifa Milano

http://www2.autistici.org/apm/sanpaolo/index.html

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APPELLO PER LA SCARCERAZIONE DI DAVIDE, FABIO E MARCO

A professori, intellettuali, politici, partigiani, studenti, militanti e a tutti coloro che sentono i valori dell’Antifascismo e della Resistenza come i propri Appello per la scarcerazione immediata degli studenti antifascisti arrestati Alle sei e mezza del mattino del 14 giugno 2007, la digos torinese arrestava tre studenti universitari antifascisti del csoa Askatasuna e del Collettivo Universitario Autonomo, conosciuti all'interno dell'università per la loro militanza antifascista: Davide, Fabio e Marco. Dopo le perquisizioni delle loro case, a tutti veniva notificato il mandato di custodia cautelare ai domiciliari; i reati contestati sono quelli di minacce, resistenza e lesioni. Gli arresti sono lo strascico giudiziario dei fatti avvenuti la mattina del 14 maggio 2007 all’interno di Palazzo Nuovo, che qui di seguito riassumiamo: intorno alle 7,30 di quella mattina alcuni militanti del fuan (l’organizzazione degli “studenti” universitari fascisti), sotto l’occhio compiacente e complice delle forze dell’ordine, scavalcarono i cancelli ed entrarono nell’università torinese, piazzandosi nell’atrio con i loro volantini di propaganda politica in attesa dell’apertura regolare della struttura, protetti da vari cordoni di polizia. Aperti ufficialmente alle 8,00 i cancelli la polizia e la digos si prodigavano a impedire l’ingresso agli studenti identificati come antifascisti, costretti ad accedere all’interno di Palazzo Nuovo attraverso un’entrata secondaria non presidiata dalle forze dell’ordine. La presenza fascista e della polizia dentro Palazzo Nuovo mobilitò gli studenti antifascisti a formare spontaneamente un presidio d’opposizione, per chiedere l’uscita dei fascisti e la fine della militarizzazione dell’università. Le provocazioni da parte dei fascisti e delle forze dell’ordine furono innumerevoli, e crearono un clima di tensione crescente che culminò con una violenta carica ai danni del presidio, seguita da una vera e propria caccia all'uomo nell'atrio, nelle aule e persino nelle biblioteche. Diversi studenti e un lavoratore di Palazzo Nuovo furono manganellati e picchiati in vari luoghi dell’ateneo. Dopo l'uscita del fuan dall'università, il presidio antifascista, nonostante le difficoltà incontrate, si mosse in corteo verso il rettorato, per chiedere spiegazioni al rettore Ezio Pellizzetti. Nonostante i gravi fatti avvenuti le risposte fornite furono di circostanza e di rimpallo delle responsabilità. Oggi, nemmeno di fronte alla pesantezza delle conseguenze penali di quella mattina, il rettore ha ritenuto valesse la pena spendere una qualsiasi parola almeno in merito ai provvedimenti che hanno colpito i tre studenti arrestati. Riteniamo che quanto avvenuto la mattina del 14 maggio e gli arresti del 14 giugno siano fatti di estrema gravità e pericolo: la militarizzazione dell’università, le cariche della polizia e la successiva caccia all’uomo, gli studenti e i lavoratori feriti, e infine l’ordinanza di arresto per Davide, Fabio e Marco richiesta e firmata dalla magistratura torinese sono tutti elementi volti a colpire e intimidire chi a Torino continua a difendere e perseguire i valori dell’antifascismo e della Resistenza, nelle piazze, nei quartieri, sul posto di lavoro, nelle scuole e nelle università. Questura, magistratura e il rettore Pelizzetti sono responsabili, ognuno con precisi coinvolgimenti, di tutto quanto avvenuto. Con questo appello vi invitiamo a firmare la richiesta della scarcerazione immediata di Davide Fabio e Marco, studenti arrestati con un castello accusatorio assolutamente inconsistente e attraverso un uso strumentale e politico della magistratura (è l'ordinanza di arresto stessa a dichiararlo esplicitamente) che di fatto imputa ai tre universitari la partecipazione al presidio e l'attivismo politico svolto quotidianamente all'interno dell'università. Se ce ne fosse bisogno, ciò rappresenta una motivazione in più per chiedere la loro immediata scarcerazione e la vostra firma a supporto di questa richiesta.    Torino, 16 giugno 2007  Network antagonista torinese – Csoa Askatasuna.Collettivo Universitario Autonomo.Csa Murazzi           

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DOPO MILANO ANCHE A ROMA.NESSUNO SPAZIO, SOLO MERDA AI FASCISTI!

16/06/07 roma
All’alba della giornata di convocazione della Direzione e Segreteria Nazionale della Fiamma Tricolore un gruppo di antifascisti e antifasciste si sono presentati all' Hotel Clodio di Roma per consegnare alcuni secchi di merda che rappresentano ciò che l'hotel ospiterà poche ore dopo.
Sul luogo è stato lasciato il seguente volantino:
NESSUNO SPAZIO, SOLO MERDA AI FASCISTI!Sabato 16 giugno l’hotel Clodio in via di Santa Lucia, Roma, ha ospitato la direzione e segreteria nazionale del partito neofascista Fiamma Tricolore: il vertice di una organizzazione che istiga all’odio sociale si è incontrato per programmare le future mosse demagogiche da mettere in campo per creare proseliti tra gli strati sociali della popolazione più emarginata di “Italica Stirpe”.
Da ormai qualche anno assistiamo infatti al tentativo da parte delle destre radicali e xenofobe di usare problematiche sociali per veicolare campagne d’odio e sdoganarsi di fronte l’opinione pubblica. Le loro campagne di denuncia, semplificando realtà sociali complesse, costruiscono dei “nemici sociali” a cui attribuire tutte le colpe dei mali della contemporaneità; la costruzione del nemico serve proprio a cementare comunità politiche in dei “NOI” contro voi.
Cosi se c’è un crimine la colpa è “sicuramente di un immigrato”, se c’è la speculazione selvaggia la colpa è di un qualche fantomatico “complotto giudaico” e la risposta migliore a tutti i problemi è “prima gli italiani”.
[Tutto ciò per mascherare il loro sporco e storico ruolo: quello di essere a servizio di potenti e di padroni per diffondere paure tra la stessa popolazione, ostacolando così qualsiasi percorso di autorganizzazione sociale che rivendichi radicalmente un cambiamento delle condizioni di vita di tutti e tutte.]
A Roma in particolare Fiamma Tricolore si inserisce prepotentemente in quei contesti di aggregazione che più lamentano un vuoto culturale.
Dallo stadio ai muretti, dalle scuole a fantomatici circoli culturali, il tentativo è quello di sfruttare le passioni e la rabbia di ragazzi e ragazze, facendone carne da macello, soldatini senza cervello.
I fascisti chiedono di “arruolarsi contro i soliti comunisti”, guardandosi bene da cercare altrove le responsabilità per una vita sempre più mercificata e precaria.
La cosa che più sorprende è che i neofascisti che si riempiono la bocca di battaglie sul caro affitti e sul “mutuo sociale” non rinunciano ad allearsi e farsi spalleggiare dalle destre che hanno svenduto per due lire il patrimonio edilizio con le cartolarizzazioni.
Non denunciano, se non di facciata, i palazzinari di/del centro che tengono chiusi e sfitti migliaia di appartamenti pur di mantenere alti i prezzi del mercato.
E non rinunciano nemmeno a farsi assegnare spazi per portare avanti le loro campagne intolleranti e ipocrite, sfruttando la delibera 26, conquista di anni di lotte di movimento.
Spazi che, vogliamo ribadirlo, vengono assegnati dalle tolleranti sinistre che governano Roma, che forse hanno dimenticato la differenza che c’è tra essere democratici ed essere complici.
Noi come antifascisti portiamo avanti le nostre lotte senza guardare alla religione, all’etnia o al colore della pelle e non inventiamo favole su complotti per governare il mondo.
Distinguiamo tra chi è artefice e complice delle politiche abitative e chi le subisce più ferocemente come i migranti gli studenti e gli anziani, lottiamo con loro e contro di voi.
Lottiamo tutti i giorni per le strade contro una politica affarista, contro la mercificazione della cultura, per una società diversa e solidale, che ripudi razzismo e xenofobia.
A chi vi appoggia, ospita o protegge possiamo solo dire che dove sarete ospitati voi, verremo anche noi, con o senza invito.
Gli antifascisti e le antifasciste di RomaPer info https://indy-rm.ortiche.net/node/273

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AGGIORNAMENTO DEL PROCESSO DI APPELLO PER LA MOBILITAZIONE ANTIFACISTA DELL’11 MARZO 2006 A MILANO – PRIMA UDIENZA

Venerdì 15 giugno 2007 si è svolta la prima udienza dell’appello per il processo per la manifestazione antifascista dell’ 11 marzo 2006 a Milano. In quella data qualche centinaia di antifascisti e antifasciste si mobilitarono per protestare contro una marcia dei fascisti della Fiamma  Tricolore nel centro della città. Le autorità politiche e la Questura concesse infatti ai fascisti di manifestare e nel contempo la negò agli antifascisti. Scaturirono degli scontri tra i compagni e le forze dell’ordine che portarono al fermo di più di quaranta persone. Tra queste, ventisette furono incarcerate e messe sotto processo per vari reati, tra cui quello di “devastazione e saccheggio”. Dopo  più di quattro mesi di “detenzione  preventiva” ben 19 compagni e compagne sono stati  giudicati colpevoli e condannati a una pena superiore ai quattro anni. Alcuni di essi sono, ancora oggi, sottoposti a misure cautelari. Adesso incomincia il processo di appello. Durante la prima udienza una cinquantina di compagni e compagne hanno portato il proprio sostegno agli imputati e imputate, continuando quella campagne di solidarietà attiva che si era sviluppata nei mesi precedenti e che necessariamente deve continuare e approfondirsi  in vista della sentenza prevista per il 26 ottobre. Infine  comunichiamo che la prima udienza è stata rinviata il 5 ottobre per problemi di notifica ad alcuni imputati.  Costruire la solidarietà agli imputatiContinuare la lottaL’antifascismo non si arresta  Per continuare la mobilitazione  invitiamo a partecipare all’assemblea che si terrà martedì 19 giugno in via Volturno 33, Milano,  al V 33  alle ore 2130  

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ARRESTATI 3 COMPAGNI A TORINO PER IL PRESIDIO ANTIFASCISTA ALL’UNIVERSITA’

Dalle 6.30 di questa mattina la Digos di Torino ha arrestato 3 compagni dell'Askatasuna e del collettivo universitario autonomo. Dopo aver perquisito le abitazioni li ha tradotti in questura notificando loro il mandato di custodia cautelare ai domiciliari. Davide, Fabio e Marco sono imputati dei rerati di Violenza e resistenza a Pubblico ufficiale in merito agli scontri avvenuti all'università il 14 maggio quando un presidio antifascista impedì ai fascisti del Fuan di entrare a palazzo nuovo. Ci furono cariche della polizia entro l'atrio dell'università e ci furono alcuni feriti. Due militanti dei Comunisti Italiani, che erano presenti alla manifestazione vennero già denunciati. In merito all'episodio, che ebbe molto eco sui giornali cittadini, vennero presentate alcune interrogazioni in consiglio comunale e in consiglio regionale, di solidarietà con gli studenti e di condanna alla manifestazione fascista. Oggi alle 11.00 è convocato un presidio a Palazzo Nuovo e nel primo pomeriggio è indetta una conferenza stampa Per ulteriori info e seguire gli aggiornamenti www.infoaut.org

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PRIMA UDIENZA D’APPELLO DEL PROCESSO PER LA MOBILITAZIONE ANTIFASCISTA DEL 11 MARZO 2006

 
LA LIBERTA' NON SI MENDICA, SI CONQUISTA
RILANCIAMO LA SOLIDARIETà  AI COMPAGNI
E ALLE  COMPAGNE SOTTO PROCESSO.
LIBERTà IMMEDIATA PER TUTTI
 
 
 
 
APPUNTAMENTI
 
13 GIUGNO
 
ore 18 APERITIVO BUFFET CON MATERIALE DI CONTROINFORMAZIONE E
       AGGIORNAMENTO LEGALE
 
ore 21 SPETTACOLO DI SATIRA POLITICA CON ANDREA RIVERA
 
       PRESSO V33 IN VIA VOLTURNO 33 _ MILANO
 
 
15 GIUGNO
 
ore 9 APPUNTAMENTO IN TRIBUNALE PER IL PROCESSO

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FASCISTI INFAMI

pubblicato il 11.06.07  (tratto da ECN.org)
Melzo: skinhead accoltella ragazzo in un locale
·

Da ” Corriere della Sera 10 giu 15:33Melzo: skinhead accoltella ragazzo in un locale, arrestatoMILANO – Un giovane di 20 anni accoltellato e un suo coetaneo in manette dopo una rissa al Centro Protagonismo Giovanile di Melzo, alle porte di Milano. L’aggressore, appartenente a un gruppo di skinhead, ha avuto una discussione con la vittima, uno studente frequentatore abituale del locale. La lite e’ poi degenerata. I fendenti hanno raggiunto il malcapitato al volto e all’addome. Il ferito e’ stato poi trasportato all’ospedale di Melzo, dove nella notte e’ stato operato e ora e’ ricoverato con prognosi riservata, ma non in pericolo di vita. Le forze dell’ordine intervenute sul luogo hanno ricostruito l’accaduto e hanno individuato e arrestato in breve tempo il responsabile, con l’accusa di tentato omicidio. (Agr)

 

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QUANDO UN LIBRO DISINFORMA

“STORIA NERA” DI ANDREA COLOMBO SULLA STRAGE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980
Saverio Ferrari  –  redazione Osservatorio Democratico

Non considero una sentenza come verità assoluta, tanto meno quella sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Nemmeno ho mai creduto che l’esito di un processo non potesse essere criticato. Anzi, ho passato anni ad attaccare duramente l’operato della magistratura, recentemente le conclusioni della corte di Cassazione sulla strage di piazza Fontana. Ritengo, per altro, a mia volta, l’approdo giudiziario su Bologna insufficiente e insoddisfacente. Ma non infondato, questo il punto.
Sollevare dubbi è non solo lecito, ma utile e meritevole. Nel caso del libro di Andrea Colombo (“Storia nera. Bologna. La verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti”, Cairoeditore, 17 euro), però, l’operazione è decisamente un’altra: si tenta di accreditare l’innocenza di Mambro, Fioravanti e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva per la strage, omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode. Mi limito ad alcuni passaggi.

L’INCONTRO CON MASSIMO SPARTI

Nel capitolo dedicato alla “demolizione” della credibilità di Massimo Sparti, colui che raccontò come due giorni dopo la strage Fioravanti e Mambro lo avessero messo al corrente delle loro responsabilità, richiedendogli urgentemente due documenti falsi, minacciando in caso contrario di far male al figlio, Andrea Colombo omette alcuni elementi fondamentali. Dopo aver irriso la testimonianza di Fausto De Vecchi, il mediatore tra Sparti e il falsario dei documenti, che comunque confermò, fatto processuale assolutamente rilevante (“Si presentò da me lo Sparti e mi disse che c’erano Giusva con la fidanzata che dovevano sparire e avevano bisogno di documenti di identità”, udienza dell’8 gennaio 1990, dibattimento in Corte di assise d’appello), tralascia incredibilmente di ricordare che fu la stessa Mambro a sostenere che si rivolsero davvero in quei giorni allo Sparti, ma che i documenti richiesti dovevano però servire a Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi di Terza posizione (“Effettivamente vennero richiesti allo Sparti…dovevamo fare la rapina all’armeria di piazza Menenio Agrippa”, che avvenne appunto il 5 agosto, dichiarazione resa da Francesca Mambro al giudice istruttore di Bologna il 25 agosto 1984). Sparti dunque non “favoleggia” di “incontri”, come scritto da Andrea Colombo. Non solo, l’autore dimentica anche come questa versione sui motivi dell’incontro con Sparti sia poi risultata per nulla credibile: Fiore e Adinolfi non erano infatti latitanti e non avevano alcun bisogno di documenti, ma soprattutto i due erano ricercati proprio dagli stessi Mambro e Fioravanti che li volevano uccidere per “ripulire l’ambiente infestato da furbacchioni”. Per altro, fu lo stesso Fiore a negare la circostanza di aver mai chiesto a Fioravanti e Mambro documenti falsi.

LA TELEFONATA E I DOCUMENTI DI LUIGI CIAVARDINI

Riguardo al caso di Luigi Ciavardini, condannato per concorso nella strage di Bologna, Andrea Colombo cerca più volte (pagine 186 e 256) di mettere in discussione l’esistenza della famosa telefonata con la quale il terrorista avvisò la fidanzata Elena Venditti e una coppia di amici, che erano in procinto di raggiungerlo a Venezia, affinché non prendessero il treno che sarebbe passato dalla stazione di Bologna la mattina del 2 agosto. Anche qui, non solo questo fatto è sempre stato incontestabilmente confermato in sede giudiziaria da Cecilia Loreti, una delle destinatarie del messaggio (“Disse di non partire…in quanto vi erano dei grossi problemi”, dichiarazioni rese al giudice istruttore di Roma il 23 dicembre 1980), ma fu lo stesso Ciavardini a ribadirlo (“Né la Venditti né la Loreti avevano la possibilità di rintracciarmi, di modo che ero io che dovevo, di volta in volta, farmi vivo. In quel periodo l’ho fatto diverse volte, telefonando all’una o all’altra ragazza, a caso loro a Roma”, dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 5 giugno 1982. “Non escludo di aver telefonato a Roma per indurre i miei amici a spostare il viaggio”, dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 24 ottobre 1984). Colombo sostiene che Ciavardini, ammesso che così fece, non agì in questo modo perchè a conoscenza dell’imminenza della strage, ma perché privo di documenti. Questi “i gravi problemi”, essendo latitante, accennati nella telefonata. Niente di più falso.
Il 5 giugno 1982 lo stesso Ciavardini dichiarò al giudice istruttore di Bologna di escludere “nella maniera più assoluta che alla data del 2 agosto 1980” avesse “alcun problema di documenti”. Tanto che in quel periodo si muoveva in tutta Italia. Solo molti anni dopo cambierà versione. Ma che Luigi Ciavardini all’epoca disponesse dei necessari documenti per viaggiare indisturbato è stato comunque ampiamente dimostrato. Al momento dell’arresto, nel settembre 1980, ne possedeva almeno uno, intestato a Marco Arena, lo stesso che, come disse la sua fidanzata Elena Venditti, utilizzava al tempo della strage (dichiarazioni rese al giudice istruttore di Bologna il 24 settembre 1980).

UN ALIBI INCONSISTENTE

Anche l’alibi a cui Fioravanti e Mambro ad un certo punto decisero di aggrapparsi, per dimostrare la loro estraneità alla strage, si sbriciola facilmente, nonostante Andrea Colombo si sia sforzato di renderlo credibile. I due sostennero di essersi trovati il 2 agosto a Treviso, ospiti di Gilberto Cavallini e della sua compagna Flavia Sbrojavacca. Mambro affermò di aver passato la giornata a Padova, Fioravanti a Treviso. Cambiarono versione solo nel 1984 raccontando di aver accompagnato Cavallini ad un appuntamento a Padova. “Con noi c’era Luigi Ciavardini” affermò la Mambro. Fioravanti inizialmente lo escluse. Ciavardini, a sua volta, solo nel 1984 si allineò, dopo aver sostenuto di essersi trovato ai primi di agosto a Palermo (!). Anche le vetture di questo viaggio da Treviso a Padova non combaciarono mai: una Bmw per Fioravanti, una Opel Rekord per la Mambro. La madre di Flavia Sbrojavacca, Maria Teresa Brunelli, testimoniò comunque che “dopo la nascita di mio nipote (10 luglio), escludo che la Mambro e Fioravanti abbiano dormito a casa della Flavia”. Un alibi inconsistente, smontato ulteriormente da Gilberto Cavallini, che negò di aver mai avuto un appuntamento a Padova quel giorno. L’appuntamento doveva avvenire con Carlo Digilio, un tempo al vertice della struttura clandestina di Ordine nuovo.
Carlo Digilio, prima di morire, ha, dal canto suo, sempre sostenuto di non aver mai conosciuto Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, né di essere mai stato a conoscenza della loro eventuale presenza a Padova quel giorno. Non si capisce a questo punto la ragione per la quale Carlo Digilio, per Andrea Colombo, si possa improvvisamente trasformare in “un testimone scomodo per tutti”. Questo sì che è un mistero!

LA PISTA PALESTINESE

Colpisce, infine, l’ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash. È più che noto, infatti, che già all’epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l’1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell’albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell’occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all’Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell’organizzazione di Carlos. Riguardo poi l’esistenza di presunti documenti, provenienti dagli archivi dell’ex Patto di Varsavia, attestanti la presenza a Bologna di alcuni uomini di “Separat”, l’organizzazione di Carlos, basterebbe citare la relazione conclusiva delle stesse autorità di Polizia francesi, acquisita tramite rogatoria, che ha affermato, sulla base dei documenti recuperati dall’ex Mfs (il controspionaggio della Repubblica democratica tedesca), che non è mai stato raccolto “alcun elemento obiettivo in ordine alla presenza in Italia di Ilich Ramirez Sanchez alla vigilia dell’attentato alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Lo studio dettagliato dei documenti in nostro possesso non consente di imputare a Ilich Ramirez Carlos o a membri del suo gruppo la responsabilità dell’attentato commesso il 2 agosto 1980 contro la stazione di Bologna. Lo stesso dicasi per la loro partecipazione ad operazioni di carattere terroristico perpetrate in Italia”.
Ma c’è di più. Alfredo Mantovano, a sua volta tra i massimi dirigenti di Alleanza nazionale, il 16 ottobre del 2003, rispondendo ad un’interrogazione, in qualità di sottosegretario al Ministero degli interni, ufficialmente concludeva che: “l’ipotetica presenza negli anni Settanta e Ottanta a Bologna o in Italia del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, attualmente detenuto in Francia, non ha trovato alcun riscontro”. Dar credito a un polverone sollevato, per altro, da un ex appartenente a Ordine nuovo, Marco Affatigato, per sua stessa ammissione fonte informativa della Cia, ma soprattutto già coinvolto in un tentativo di depistaggio sulla strage di Bologna, che in un’intervista a un giornale di Alleanza nazionale ha fatto riferimento a documenti della Stasi mai rintracciati, o peggio, contenenti il contrario, è davvero fuorviante.

SENZA PRECEDENTI?

Si potrebbe continuare con la storia dei Nar, definiti a pagina 10, senza “precedenti bombaroli” o stragisti, quando in proposito basterebbe ricordare: l’assalto a Roma a Radio città futura, il 9 gennaio 1979, con il ferimento di cinque donne falciate alle gambe a colpi di mitra; l’attentato alla sezione Esquilino del Pci, sempre a Roma, il 16 giugno 1979, con il lancio di bombe a mano nel corso di due affollate riunioni, una di quartiere, l’altra di ferrovieri, o ancora l’attentato, fatto risalire dalla magistratura ai Nar, mediante un’autobomba caricata di quattordici chilogrammi di esplosivo, posta all’uscita della seduta del Consiglio comunale a Milano, poco più di 48 ore prima della strage di Bologna. Per i primi due crimini è stata riconosciuta la responsabilità di Valerio Fioravanti con la sentenza del 2 maggio 1985 della Corte di assise di Roma, divenuta definitiva. Colombo, contro ogni evidenza, riporta invece che per il secondo episodio è “stata dimostrata” la sua “non partecipazione”. Da chi?

Mi fermo qui anche se su molti altri punti andrebbero svolte doverose precisazioni e contestazioni, anche rilevanti, come sul movente della strage, tutt’altro che oscuro, i numerosi depistaggi, che cercarono in ogni modo di avvalorare ipotesi internazionali per sviare e far perdere tempo agli inquirenti, e non certo a “incastrare” l’estrema destra, la natura chimica dell’innesco dell’ordigno, come stabilito dalle perizie, che per questa e non altre misteriose ragioni, come supposto nel libro, non ha consentito di rintracciare sul posto filamenti o batterie elettriche.

Spiace dire, in conclusione, che questo libro non svolge affatto alcun servizio garantista, ma si presta solo a disinformare e ad essere utilizzato a questo fine. Le stesse conclusioni del presidente dell’associazione dei familiari delle vittime Paolo Bolognesi.

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VERITA’ E GIUSTIZIA PER FEDERICO MERCOLEDI 20 GIUGNO ORE 9 TRIBUNALE DI FERRARA

20 MAGGIO 2007 (580 giorni)

Caro Federico, dopo 580 giorni ora sento la necessità di dover incontrare, vedere e ascoltare, INSIEME A TE, davanti ad un giudice, TUTTI quegli attori di quell’orribile, infame, vigliacca, disgustosa, ipocrita, indifferente domenica mattina, di quel pazzesco 25 settembre 2005.L’udienza preliminare si terrà il 20 giugno 2007, alle ore 09,00 presso il Tribunale di Ferrara. Dal blog per Federico http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi

 
 
Dal Corriere della Sera  di Marco Imarisio
30 maggio 2007
 
Per 4 agenti l'accusa è di aver provocato il decesso del giovane
Federico, svolta nell'inchiesta
Ferrara, trovate altre prove nella cassaforte della polizia: sette
tamponi con il sangue della vittima e documenti clamorosi
 
 
Federico Aldrovandi
FERRARA - Le sorprese erano chiuse in cassaforte. Ci sono novità sulla
storia di Federico Aldrovandi, lo studente diciottenne che il 25
settembre 2005 morì a Ferrara dopo essere stato fermato dalla polizia.
Tutto era pronto per l´udienza preliminare che il prossimo 20 giugno
deciderà se mandare a processo quattro agenti accusati di omicidio
colposo. Ed invece, dalla questura arrivano nuovi reperti, sconosciuti
agli atti dell´inchiesta. Dagli «originali » delle telefonate ai
tamponi imbevuti del sangue del ragazzo. E con essi affiorano dubbi e
sospetti, ai quali dà corpo Alessandro Gamberini, legale della famiglia
del giovane: «È la prova di come in questa inchiesta il materiale di
indagine sia stato accuratamente selezionato, dato o non dato a seconda
della convenienza. Per fortuna qualcosa è cambiato». Aldrovandi muore a
Ferrara, in via Ippodromo, dopo aver trascorso la notte in un centro
sociale di Bologna. Così ricostruiva i fatti una nota della questura:
«Alle 6.25 personale di Polizia interveniva su segnalazione di alcuni
cittadini che avevano riferito del comportamento strano di un giovane.
Poco dopo, il giovane è stato colto da malore».
? La vicenda
Caso chiuso. Morto per cause naturali, durante il trasporto in
ospedale. Overdose, si dirà poi. Tre mesi dopo Patrizia, la madre di
Federico, apre un blog per chiedere nuove indagini. Emergono
testimonianze che parlano di un controllo piuttosto energico da parte
degli agenti intervenuti. Secondo i consulenti della famiglia ci
sarebbe stata una violenta colluttazione tra quattro agenti e
Aldrovandi, sottoposto ad una immobilizzazione forzata con
schiacciamento della cassa toracica. Il 9 gennaio 2007 c´è la richiesta
di rinvio a giudizio per quattro poliziotti. La partita giudiziaria si
giocherà su perizie mediche e sulle diverse ricostruzioni degli orari.
Anche per questo, è di grande onestà e pulizia la nota datata 2
febbraio 2007 della Squadra mobile di Ferrara che accompagna le nuove
rivelazioni. Scrive il dirigente: «In data odierna ho avuto accesso,
per la prima volta, al registro degli interventi del 113 relativo al
periodo di indagine, fino ad oggi custodito nella cassaforte dell´Unità
di polizia giudiziaria». Per una circostanza fortuita, si apre così,
«per la prima volta», lo scrigno che contiene gli originali degli atti
compiuti quel 25 settembre 2005.
Il catalogo è questo: ci sono tutti i brogliacci delle telefonate
effettuate dagli agenti, e gli orari del loro intervento nel luogo dove
Federico Aldrovandi cominciava la sua agonia. La Squadra mobile li
mette a confronto con i documenti «puliti» che sono stati poi allegati
agli atti dell´inchiesta. E scopre che tra la copia «in brutta» e
quella in bella, ci sono differenze sostanziali. Sull´orario dell´
arrivo della prima pattuglia, i cui agenti sono accusati di aver
pestato Aldrovandi: «Doverosamente si deve rilevare come il foglio di
intervento originale, annullato con dei segni trasversali a penna, è
parzialmente difforme» da quello poi trascritto agli atti. «In
particolare, la difformità è relativa all´orario in cui è stato dato
l'intervento, e la correzione fatta a penna contrasta con i fogli
successivi ». Il nuovo questore di Ferrara, Luigi Savina, uno dei
poliziotti più stimati dal Viminale, mette per iscritto di non aver
chiesto «per ora» una relazione sull´accaduto ai due ispettori che
hanno firmato i rapporti solo perché consapevole che anche la Procura
ha un procedimento in corso sui modi con i quali è stata effettuata l´
indagine sulla morte di Aldrovandi. Dal carteggio custodito in
cassaforte spuntano anche due lettere «manoscritte in originale», che
sono riferibili alle attività di sopralluogo compiute la mattina del 25
settembre-Aldrovandi morì poco dopo l´alba-«ma non risultano finora
essere state inviate alla autorità giudiziaria».
L'ultima scoperta è forse la più clamorosa. La questura comunica di
aver ritrovato anche sette tamponi intrisi di sangue «relativi al
giovane Aldrovandi» conservati da ormai due anni nei frigoriferi della
Polizia scientifica, e mai messi agli atti. In una vicenda dove
autopsie, perizie mediche e sopralluoghi contano molto, è un dettaglio
che potrebbe avere la sua importanza.
 
 
 
Per tutte le informazioni e gli aggiornamenti  visitate il blog per Federico 
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/

 

 
 
 
 
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